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{"id":499,"date":"2010-06-28T16:52:11","date_gmt":"2010-06-28T14:52:11","guid":{"rendered":"http:\/\/www.webbidea.com\/?p=499"},"modified":"2013-05-03T15:55:23","modified_gmt":"2013-05-03T13:55:23","slug":"da-un-articolo-di-massimo-fini","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.webbidea.com\/da-un-articolo-di-massimo-fini\/","title":{"rendered":"Da un articolo di Massimo Fini"},"content":{"rendered":"

Sui fattacci di Rosarno anche la stampa pi\u00f9 bieca e razzista\u00e8stata costretta a prendere le parti degli immigrati (\ufffdHanno ragione i negri\u00f9, ha titolato il Giornale, 9\/1), sfruttati fino all’osso per i famosi lavori che \ufffdgli italiani non vogliono pi\u00f9 fare\ufffd, costretti a vivere in case di cartone e, come se non bastasse, presi anche a pallettoni. Ed\u00e8assolutamente ipocrita chiamarli \ufffdneri\u00f9, in linguaggio politically correct, come fa la sinistra se poi li si tratta da \ufffdnegri\u00f9 che\u00e8il senso ironico del titolo di Feltri. Quando per\u00f2 si analizzano le cause di queste migrazioni ormai bibliche, che portano a situazioni tipo Rosarno in Europa e negli Stati Uniti, la stampa occidentale resta sempre, e non innocentemente, in superficie. Si dice che costoro sono attratti dalle bellurie del nostro modello di sviluppo. Ora, no c’\ufffd immigrato che non possegga almeno un cellulare e che non sia in grado di avvertire chi\u00e8rimasto a casa di che \ufffdlacrime grondi e di che sangue\ufffd questo modello, per tutti e in particolare per chi, come l’immigrato,\u00e8l’ultima ruota del carro.
\nSi dice allora che costoro sono costretti a venire qui a fare una vita da schiavi a causa della povert\u00e0 e della fame che strazia i loro Paesi. E questo\u00e8vero. Ma non si spiega come mai queste migrazioni di massa sono cominciate solo da qualche decennio e vanno aumentando in modo esponenziale. In fondo le navi esistevano anche prima e pure i gommoni. Il fatto che gli immigrati di Rosarno siano prevalentemente provenienti dall’Africa nera ci d\ufffd l’opportunit\u00e0 di spiegarlo.
\nL’opinione pubblica occidentale, anche a causa della disinformatia sistematica dei suoi media,\u00e8convinta che la fame in Africa sia endemica, che esista da sempre. Non\u00e8cos\u00ec. Ai primi del Novecento l’Africa nera era alimentarmente autosufficiente. Lo era ancora, in buona sostanza (al 98%), nel 1961. Ma da quando ha cominciato ad essere aggredita dalla pervasivit\u00e0 del modello di sviluppo industriale alla ricerca di sempre nuovi mercati, per quanto poveri, perch\u00e8 i suoi sono saturi, la situazione\u00e8precipitata. L’autosufficienza\u00e8scesa all’89% nel 1971, al 78% nel 1978. Per sapere quello che\u00e8successo dopo non sono necessarie le statistiche, basta guardare le drammatiche immagini che ci giungono dal Continente Nero o anche osservare a cosa siano disposti i neri africani, Rosarno docet, pur di venir via.
\nCos’\ufffd successo? L’integrazione nel mercato mondiale ha distrutto le economie di sussistenza (autoproduzione e autoconsumo) su cui quelle popolazioni avevano vissuto, e a volte prosperato, per secoli e millenni, oltre al tessuto sociale che teneva in equilibrio quel mondo (come\u00e8avvenuto in Europa agli albori della Rivoluzione industriale quando il regime parlamentare di Cromwell, preludio della democrazia, decret\u00e0 la fine del regime dei \ufffdcampi aperti\u00f9 (open fields), cosa a cui le case regnanti dei Tudor e degli Stuart si erano opposte per un secolo e mezzo, buttando cos\u00ec milioni di contadini alla fame pronti per andare a farsi massacrare nelle filande e nelle fabbriche cos\u00ec ben descritte da Marx ed Engels). Oggi, nell’integrazione mondiale del mercato, nella globalizzazione, i Paesi africani esportano qualcosa ma queste esportazioni sono ben lontane dal colmare il deficit alimentare che si\u00e8venuto cos\u00ec a creare. E quindi la fame.
\nSenza per questo volerlo giustificare il colonialismo classico\u00e8stato molto meno devastante dell’attuale colonialismo economico. Fra i due c’\ufffd una differenza sostanziale, di qualit\u00e0. Il colonialismo classico si limitava a conquistare territori e a rapinare materie prime di cui spesso gli indigeni non sapevano che farsi, ma poich\ufffd le due comunit\u00e0 rimanevano separate e distinte poco cambiava per i colonizzati che, a parte il fatto di avere sulla testa quegli stronzi, continuavano a vivere come avevano sempre vissuto, secondo la loro storia, tradizioni, costumi, socialit\u00e0, economia.
\nIl colonialismo economico, invece, ha bisogno di conquistare mercati e per farlo deve omologare le popolazioni africane (come del resto le altre del cosiddetto Terzo Mondo) alla nostra way of life, ai nostri costumi, possibilmente anche alle nostre istituzioni (la creazione dello Stato, per soprammercato democratico o fintamente democratico, ha avuto un impatto disgregante sulle societ\u00e0 tribali), per piegarle ai nostri consumi. In Africa si vedono neri con i RayBan (con quegli occhi!) e il cellulare, che costano niente, ma manca il cibo. Perch\u00e8 il cibo non va dove ce n’\ufffd bisogno, va dove c’\ufffd il denaro per comprarlo. Va ai maiali dei ricchi americani e, in generale, al bestiame dei Paesi industrializzati, se\u00e8vero che il 66% della produzione mondiale di cereali\u00e8destinato alla alimentazione degli animali dei Paesi ricchi (dato Fao). E adesso ci si\u00e8messa anche la Cina, new entry in questo gioco assassino, che compra, con la complicit\u00e0 dei governanti corrotti, intere regioni dell’Africa nera la cui produzione, alimentare e non, non va ai locali, sfruttati peggio degli immigrati di Rosarno, ma finisce a Pechino e dintorni. Ma l’invasione del modello di sviluppo egemone ha anche ulteriori conseguenze, quasi altrettanto gravi della fame. Sradicati, resi eccentrici rispetto alla propria stessa cultura che\u00e8finita nell’angolo, scontano una pesantissima perdita di identit\u00e0. A ci\u00f9 si devono le feroci guerre intertribali cui abbiamo assistito, con ipocrita orrore, negli ultimi decenni. Perch\u00e8 le guerre in Africa, sia pur con le ovvie eccezioni di una storia millenaria, avevano sempre avuto una parte minoritaria rispetto alla composizione pacifica fra le sue mille etnie (J.Reader, \ufffdAfrica\ufffd, Mondadori, 2001). E cos\u00ec fra fame, miseria, guerre, sradicamento, distruzione del loro habitat, costretti a vivere con i materiali di risulta del mondo industrializzato (si vada a Lagos, a Nairobi o in qualsiasi altra capitale africana) i neri migrano verso il centro dell’Impero cercandovi una vita migliore. O semplicemente una vita. E i nostri \ufffdaiuti\u00f9, anche quando non sono pelosi, non solo non sono riusciti a tamponare il fenomeno della fame e della miseria, in Africa e altrove, come\u00e8emerso dal recente vertice della Fao tenuto a Roma, ma l’hanno aggravato perch\u00e8 tendono ad integrare ulteriormente le popolazioni del Terzo Mondo nel mercato unico mondiale, stringendo cos\u00ec ancor di pi\u00f9 il cappio intorno al loro collo. Alcuni Paesi e intellettuali del Terzo Mondo lo avevano capito per tempo. Una ventina di anni fa, in contemporanea con una delle periodiche riunioni del G7 (allora c’era ancora il G7), i sette Paesi pi\u00f9 poveri del mondo, con alla testa l’africano Benin, organizzarono un polemico controsummit al grido: \ufffdPer favore non aiutateci pi\u00f9!\ufffd. Ma non vennero ascoltati.<\/p>\n